È proprio vero che “Tutti muoiono troppo giovani”?

Dopo il grande successo de “La prima generazione incredula”, il teologo Armando Matteo torna in libreria con un nuovo saggio dedicato alla longevità:

“Tutti muoiono troppo giovani. Come la longevità sta cambiando la nostra vita e la nostra fede”

“È dura invecchiare senza motivo…la giovinezza è come un diamante che brilla al sole e i diamanti sono per sempre”.
Potrebbe essere questo verso degli Alphaville o il titolo stesso della loro canzone che, non a caso continua ad avere grande successo nonostante sia stata incisa nel 1984 e che si intitola, appunto “Forever young”, a sintetizzare bene il nuovo saggio di Armando Matteo dedicato alla longevità e che fa da “sponda” ideale al famoso “La prima generazione incredula”, edito sempre da Rubbettino.
Oggi quella che nella canzone degli Alphaville sembrava una fantastica utopia è diventata realtà e tutti abbiamo la possibilità di essere giovani per sempre. La sindrome di Peter Pan non è più un disturbo della personalità ma è una condizione di eterna felicità. La medicina ci ha regalato negli ultimi decenni un bel po’ di anni in più, vissuti, tutto sommato in condizioni di salute eccellenti. Alcuni ritrovati, come la famosa pillola blu o il cosiddetto “Viagra rosa”, che aumenta il desiderio anche in donne in menopausa, hanno prolungato persino la vita sessuale degli individui che possono continuare a godere dei piaceri del letto ancora a lungo.
La soglia dei 50 anni non è più, da tempo, l’inizio dell’anzianità, ma una sorta di boa girando attorno la quale si apre una seconda giovinezza ricca di nuove opportunità che talvolta corrispondono anche a una nuova storia d’amore, una nuova famiglia…
Ma cosa c’è di così terribile in una società che ama rimanere giovane? Nulla se non che questa società che ama la giovinezza odia in realtà quelli che giovani lo sono davvero e che con la loro stessa presenza ricordano ai “forever young” che giovani non lo sono più.
Non solo. Se un quarantenne continua a rimanere un “ragazzo” allora la differenza tra lui e un ventenne non sta più nella freschezza della visione del mondo, della potenza creatrice e immaginifica che potrebbe vantare il secondo e che è tipica dei giovani ma, semmai, nel fatto che il quarantenne è un giovane con esperienza mentre il ventenne no.
Diventa allora necessario parcheggiare a lungo questi “giovanissimi” in corsi di formazione senza fine o in periodi di praticantato mal pagato (“Tanto devono fare esperienza”), sequestrando di fatto loro il futuro.
La vecchiaia diventa dunque un tema tabù, da nascondere. Per un anziano la migliore qualità che gli si possa attribuire non è più la saggezza derivante dall’età ma semmai il suo apparire giovane (“è così giovanile…”). Con la vecchiaia anche la morte sembra uscire di scena, anch’essa negata, nascosta e, quando fa la sua inevitabile comparsa viene vista come un evento improvviso, inatteso.
Cosa comporta tutto ciò per la Chiesa che, proprio intorno all’evento della morte ha costruito la sua grande narrazione? Si pensi soltanto al peso che le devozioni legate alla buona morte (il culto della Madonna del Carmine e del “privilegio sabatino”; la pratica dei primi venerdì del mese; la devozione a San Giuseppe, il santo della “Buona morte”) o la preghiera e le messe per i defunti hanno avuto all’interno della vita quotidiana della Chiesa. Lo stesso Cristianesimo, in fondo, altro non è che l’annuncio della vittoria di Cristo sulla morte. Se si toglie la morte, e con essa la paura della morte e della dannazione eterna cosa rimane dunque di buona parte del cattolicesimo così come lo abbiamo conosciuto finora? Forse, allora, come suggerisce Matteo nelle conclusioni di questo libro, serve una Chiesa che sappia rinnovarsi, “Una Chiesa che non sia più quella del Vangelo della paura, che alla fine ha prodotto l’attuale paura del Vangelo; bensì una Chiesa della gioia del Vangelo. Si deve scommettere di più sulla costruzione di comunità vere, vivibili e visibili, gioiose, libere e liberanti, nelle quali sia possibile ospitare la diversità, far dialogare le generazioni, celebrare la vita in tutte le sue fasi e le sue età, permettere la riconciliazione e il lutto con il lato sfidante dell’esistenza umana, abilitare ciascuno al rito prezioso della benedizione come gesto elementare con il quale farsi innanzi alla vita che è sempre e comunque sorprendente. Oltre che semplicemente più lunga”.

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