Il romanzo di Bruni «luce del Nord» (edito da Rubbettino) proposto da Antonio Pascale
«Libro coraggioso, ben scritto, montato ancora meglio, rischia di diventare il caso dell’anno»
A volte la vita chiude una porta per aprire una finestra. È accaduto così per Gianluigi Bruni, classe 1954, laurea in filosofia, diploma al Centro Sperimentale e una vita trascorsa nel cinema collaborando a vario titolo con registi del calibro di Fellini, Comencini, Zeffirelli, Dino Risi. Una carriera messa in fretta da parte quando la crisi economica ha presentato il suo conto e Bruni si è trovato a reinventarsi la vita diventando portiere di un condominio nel quartiere Garbatella di Roma.
L’abitudine alla scrittura dello sceneggiatore, il bisogno di raccontare, invece, non si mettono facilmente da parte e così Bruni ha continuato a scrivere osservando e narrando il mondo degli ultimi, di quelli che non ce l’hanno fatta, di quelli che hanno sbagliato tutto o che non hanno saputo o potuto prendere la vita dal verso giusto.
Nasce così “Luce del nord” romanzo segnalatosi già da inedito all’edizione 2019 del Premio Calvino e oggi pubblicato da Rubbettino nella prestigiosa collana di narrativa Velvet.
Il libro ha già suscitato attenzione da parte dei lettori e recensori che per primi lo hanno notato, come lo scrittore Antonio Pascale che ha deciso di proporlo al premio Strega.
«Luce del nord» è una sorta di rap contemporaneo. Come i pezzi di Mahmood canta la vita della periferia, quella vita difficile fatta di muri enormi da scalare. Come i moderni rapper non si abbandona alla disperazione. In fondo c’è sempre una luce da raggiungere, una speranza da conquistare.
Ecco la motivazione
«Il libro assolve una delle funzioni della narrativa: farci conoscere (con un romanzo) quello che sì, magari vediamo superficialmente ma non conosciamo in profondità. Nella fattispecie sappiamo dell’esistenza dei poveri e marginali. Le statistiche li contano, i Media li etichettano, appunto, come poveri e noi li vediamo di tanto in tanto e abbassiamo lo sguardo, o li giudichiamo bene o male, a seconda dei nostri umori. Ma uno scrittore come Bruni li osserva e racconta con misura e pathos le loro singole vite, li toglie dall’etichetta (di poveri e drop out) che li ha definiti e condannati, gli da un nome, una storia, li fa muovere in un contesto, scandaglia emozioni, comportamenti, ambizioni, desideri, descrive le contingenze, le colpe i sogni. Libro coraggioso, ben scritto, montato ancora meglio, rischia di diventare il caso dell’anno, perché sovverte statistiche cliché, illumina le storie nascoste, e getta addosso a noi un po’ ombra, necessaria quest’ultima per riflettere, pensare ai tre personaggi del libro: Frank, Cristian, Eva»
Frank, Cristian, Eva,i protagonisti del libro sono tre freaks derelitti: un vecchio ex-stunt puttaniere e alcolizzato, un ragazzo frenastenico che vive di elemosina illudendosi di essere un artista di strada, una attempata badante che appassisce nel ricordo dell’unico, impossibile amore della sua vita. Ognuno di loro narra, in un racconto tra il comico e il grottesco, talvolta picaresco, la propria stramba esistenza fatta di violenze subite e commesse, solitudine e disperazione. Sono tre invisibili mal tollerati e inadeguati a tutto, che sopravvivono faticosamente ai margini della città eterna. Creature approssimative e inconcluse che, insieme, sia pure per un brevissimo istante, tentano di realizzare l’utopia di un’esistenza piena, completa, felice.
Figure che ricordano le storie di tante persone che hanno camminato procedendo su quella linea invisibile che separa la vita quotidiana dal baratro della miseria. Persone che hanno cercato di aggrapparsi disperatamente a un’esistenza comune ma che per un inciampo sono finiti nel precipizio.
«Insieme siamo usciti dal cancello e siamo entrati nella notte. Dovevamo essere strani noi tre, il vecchio zoppo, il giovane stralunato, la donna grassa, perché quei pochi che incrociavamo si fermavano a guardarci e qualcuno ci indicava e qualcun altro rideva ma niente e nessuno poteva fermarci o intimorirci. Dovevamo andare»
Il libro è stato segnalato da Style («Corriere della Sera») tra le migliori novità di marzo
«Bruni attinge al neorealismo nella versione magica, zavattiniana, di Miracolo a Milano» Francesco Erbani, «Internazionale»
«Scritta con un andamento quasi cinematografico, con i capitoli divisi seguendo un andamento per scene e mantenendo un ritmo serrato che impedisce di interrompere la lettura, questa straordinaria cantica degli esclusi tiene avvinto il lettore per 280 pagine, ricordandogli – pur senza rinunciare al realismo – che anche nelle situazioni più abiette e meschine, ogni diseredato può scorgere la bellezza di un fiore» Marilù Oliva, «Huffington Post»
«Sarà che viene dal cinema, Gianluigi Bruni, e sa che il ritmo è importante, sarà che ha scelto tre voci di balordi con storie e pensieri strampalati, ma il suo romanzo, “Luce del nord”, funziona, portandosi dentro una atmosfera da Claudio Caligari, di estremo eppure molto credibile, e questo per un libro italiano è tanto» Marco Ciriello «Il Mattino»
«Una discesa nelle viscere dell’umanità schiacciata e dimenticata, irrimediabilmente ferita e piegata, ostinatamente aggrappata al bello che riesce a strappare, tra musica, scritti e la magia unica del cinema, con lo sguardo proteso alla luce del Polo Nord, sempre in lotta contro l’oscurità» Maria Teresa D’Agostino