La fabbrica delle illusioni
Il falso sapere degli economisti smascherato nella storia dell’idea di “capitale”
di Mario Fabbri
È notorio che affermazioni e previsioni degli economisti sono normalmente inaffidabili, ma le ragioni dei loro insuccessi non sono altrettanto chiare. Per individuarle, il libro svolge un’approfondita indagine sulla storia dell’idea di “capitale” dalla sua comparsa nel XII secolo tra i mercanti genovesi fino ai dibattiti tra i teorici del XX secolo, tanto astrusi che i più consapevoli tra di loro ammettono di non capire nemmeno su che cosa di preciso si sta litigando. Da una tale prospettiva si distinguono bene le ragioni dello stato disastrato delle attuali teorie economiche ed emerge, ad esempio, quali sono i punti forti e quelli deboli della dottrina di Keynes. Viene pure in luce che per le società umane esiste un limite fisiologico per la possibile velocità di crescita dei consumi pro-capite. È un elemento nuovo che, oltre a rivelare le cause finora oscure dei cicli economici, permette di valutare bene quanto fuori strada sono finite le costruzioni degli economisti i quali, con l’eccezione di Thomas Malthus, non ne avvertono la presenza.
Mario Fabbri, studioso di scienze umane, nasce a Novara nel 1949. Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Torino e un MBA all’INSEAD di Fontainebleau, entra nel 1975 nel gruppo dolciario FERRERO in cui ricopre varie posizioni, arrivando ad organizzare una ditta interna per fornire servizi informatici alle aziende del gruppo nel mondo. Nel 1995 fonda a Torino, con altri due soci, DIRECTA SIMpA (www.directa.com) uno dei pionieri mondiali del trading online sui mercati finanziari e tuttora leader nel settore tra le SIM italiane. Di essa è amministratore delegato.
Divagazioni
Il termine “capitale” appare a Genova poco dopo l’anno 1100, insieme con la sua cruciale associazione a profitto, in un ambiente di caratteristiche già sorprendentemente capitalistiche.
Perché a Genova e come mai proprio in quell’epoca?
Nel secondo millennio, le tre grandi epoche di svolta decisa verso il libero mercato – ossia i secoli XII-XIII, XVI e XVIII – furono tutte allo stesso modo innovative, rinascimentali e anche inflazionistiche.
Le analogie tra i tre casi permettono di individuare una logica uniforme in questi grandi cicli storici?
I due massimi economisti del Settecento, Adam Smith e Turgot, si incontrarono a Parigi nel 1766, e poi diedero alle stampe due testi con un’identica logica, basata sul capitale che resta tuttora il fondamento delle teorie economiche. Eppure gli studiosi sostengono che i rapporti tra i due sono stati irrilevanti.
Invece, esaminando i dati con maggiore attenzione è possibile scoprire le prove di una loro stretta collaborazione, e anche capire perché i due tennero segreti i reciproci scambi di idee e distrussero i carteggi tra di loro.
Nelle ruggenti economie capitalistiche del primo Ottocento compaiono dei cicli boom-crisi brevi e regolari che, in forma meno nitida, continuano tuttora a ripresentarsi. Ma, nonostante estese riflessioni sul tema, gli economisti non sono mai riusciti a individuare le cause di queste singolari alternanze