A tre anni dal caso Englaro, dopo uno sciopero della fame e una conferenza stampa, Carlo Troilo scrive una lettera all’“Espresso”.

Carlo Troilo è stato un volto importante della prima Repubblica: capo ufficio stampa dell’IRI, direttore delle Relazioni esterne della Rai, capo ufficio stampa dei ministri del Commercio Estero e delle Partecipazioni Statali.

englaroA marzo 2004 un tragico avvenimento cambia radicalmente la sua vita: il fratello Michele, 95 anni, ammalato di leucemia mieloide acuta, dopo aver percorso tutte le stazioni di una via crucis di medici, terapie inefficaci e dolorose, senza oramai alcuna speranza di guarigione, costretto a ricorrere unicamente a cure palliative che hanno come unico scopo il prolungarsi di un’esistenza fatta unicamente di sofferenza decide di porre fine alla sua vita gettandosi dal terrazzo.

L’episodio sconvolge il fratello Carlo che decide di dedicare le sue energie a portare avanti quella battaglia di civiltà che Michele stesso, se avesse potuto, avrebbe voluto condurre: quella per la libertà di determinare la propria esistenza ricorrendo in casi estremi anche alla morte dolce, l’eutanasia.

Carlo Troilo diventa così, insieme a Mina Welby e Beppino Englaro uno dei volti noti di questa battaglia. Ha partecipato ai presidi davanti a Montecitorio insieme ai volontari dell’associazione Luca Coscioni, con la pioggia e con il sole, portando avanti uno sciopero della fame per reclamare in prima linea una legge sul testamento biologico che a distanza di anni ancora giace in qualche cassetto polveroso del Senato.

Nel 2011 l’Espresso ha raccontato la sua storia (clicca qui per leggere l’articolo), oggi Carlo Troilo ha racchiuso quell’esperienza in questo pamphlet che ripropone con forza un’agenda laica sui diritti negati.

 

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