In occasione della Giornata del Ricordo, Rubbettino lancia in libreria il romanzo di Rossella Scherl «Pepi l’americano» in cui la scrittrice racconta le vicende del nonno, italiano d’Istria, costretto a lasciare la sua casa nel ’49

«Prima di arrivare al Centro, non avevo che una pallida idea di quello che stava avvenendo, dalla fine della guerra, in Istria, Venezia Giulia, Dalmazia, e a Fiume. Sapevo che in tanti avevano lasciato o si preparavano a lasciare i territori italiani occupati e poi definitivamente passati allo Stato jugoslavo, mai avrei immaginato un esodo in massa al di là dell’appartenenza sociale e politica. Dirigenti, operai, contadini, impiegati, commercianti, in fuga dalla propria terra, abbandonando tutto, per cominciare una nuova vita in una madre patria, dove essere italiano non era motivo di pericolo, dove si poteva guardare a un futuro libero da dittature. Mai avrei immaginato l’accoglienza riservata ai profughi all’arrivo delle navi da Pola nel ’47. Mi raccontarono di militanti del Partito Comunista italiano che urlavano: fascisti, via di qui! Dei fischi, degli sputi. Del treno merci, dov’erano stati stipati per trasferirli al nord, esuli sbarcati il giorno prima ad Ancona, a cui era stato impedito di fermarsi nella stazione di Bologna, dove enti assistenziali avevano preparato pasti e latte caldo, finiti sui binari, senza pietà neanche per bambini e anziani, mentre qualcuno prendeva a sassate il convoglio. Fascisti! Perché non eravamo rimasti nella Jugoslavia del compagno Tito, il liberatore. Che ne sapevano di quello che avevamo vissuto?»

2464. È un numero che Rossella Scherl, scrittrice napoletana, di padre istriano che vive oggi in Calabria. difficilmente potrebbe dimenticare. È il numero di pratica assegnato alla domanda di indennizzo avanzata dalla sua famiglia allo Stato italiano per i beni lasciati al di là del confine orientale, quando suo nonno, il protagonista del romanzo, dovette abbandonare tutto, lasciare la sua casa, la sua terra, il luogo dove la sua famiglia viveva, per un futuro incerto e ricco di incognite. Ma la cifra assegnata venne liquidata lentamente, di acconto in acconto, quando già il nonno era morto e, beffa delle beffe, era nettamente inferiore al valore effettivo dei beni. Una storia che Rossella Scherl ha deciso di raccontare con questo suo romanzo dedicato alla figura del nonno “Pepi l’americano” a cui subentra, nelle vicende narrate, il padre della scrittrice, il figlio del protagonista, che cerca in tutti i modi di riavere quanto perduto. Non perché siano cifre in grado di cambiare la vita, sottolinea l’autrice, ma per quello che dietro quei numeri si cela.

La copertina del libro

«Si è sentito dire – scrive la Scherl nelle pagine di chiusura del libro – da funzionari non ancora nati quando lui, poco più che ragazzino, seppelliva i morti abbandonati per strada, di mettersi l’anima in pace, di non essere insistente. Espressioni fuori luogo, per uno nel pieno diritto di chiedere la restituzione di un ammanco già incassato. Incassato dallo Stato che avrebbe dovuto garantirlo nella scelta di lasciare la terra d’origine per conservarne la nazionalità, restare italiano.

Non è bastato il mancato riconoscimento di un indennizzo equo ai frutti del sudore di suo padre, ai beni di migliaia di istriani, giuliani, dalmati, lasciando che fossero loro a pagare il prezzo più alto per una guerra persa?

Non è bastato aver dovuto subire, per decenni, il silenzio su pagine di Storia scomode?

Che ne sanno i signori burocrati delle ferite ancora aperte nascoste tra le scartoffie di un numero di pratica. Seguono iter e riescono a essere molto efficienti nel tirarla per le lunghe, se disposizioni e richieste hanno interessi discordanti. Quando gli interessi dello Stato e quelli del cittadino non coincidono, l’apparato punta allo sfinimento dell’avente diritto, ma mio padre, temprato dalla bora e dalle vicende della vita, a dispetto dell’età, ha energia da vendere e non demorde. Ha scritto al Presidente della Repubblica, chiedendo il suo intervento. Sono passate settimane. So che i tempi sono lunghi, mi dice, aspetto ancora qualche giorno e chiamo la sua Segreteria.

Avrò diritto a una risposta? Gli do ragione e mi astengo dal liberarmi di quel che penso, altrimenti dovrei dirgli, non t’illudere, il finale è già scritto»

La trama del romanzo

Pepi è un figlio illegittimo nato in Istria a fine ‘800. Abbandonato dalla madre, cresce in casa dei nonni, tra difficoltà e umiliazioni. A nove anni conosce Nane, il padrone del veliero del suo primo ingaggio da mozzo. Grazie a lui, dopo qualche anno si imbarca su un mercantile a vapore.
In una traversata atlantica, durante una tempesta, Pepi rischia di morire. Scosso e spaventato, decide di sbarcare a Buenos Aires con Zeno, conosciuto in navigazione. In città, riesce a trovare lavoro come cuoco ma, scoperto di essersi innamorato della fidanzata di Zeno, lascia la città per andare a lavorare in una località isolata della steppa patagonica dov’è stato costruito un nuovo faro.
Grazie agli uomini della squadra di cui fa parte, superando dubbi e sensi di colpa, nasce in lui desiderio di rivincita: tornerà a Fianona. Con da parte i risparmi di cinque anni di ottima paga, lascia il faro per Buenos Aires, dove dovrebbe imbarcarsi per tornare in Istria. Tra il riaffiorare di vecchie insicurezze, il trasferimento a New York, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e il legame affettivo con la coppia presso cui abitava, solo nel 1924 torna a Fianona.
I nonni sono morti. Al di là di ogni aspettativa, gli zii lo accolgono con grande affetto. Viene ospitato da una sorella della madre, la zia Carla, diventata benestante. Pepi si crea una posizione come proprietario terriero e sposa la figlia della zia.  Resta vedovo dopo sei mesi, accusando il colpo di una mancata paternità.
Dopo la morte della zia. Decide di risposarsi. Iolanda è molto più giovane di lui, grazie a lei e ai loro due figli, Pepi prova la gioia e il senso profondo di avere una famiglia propria.

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’8 settembre, Pepi rischia prima la deportazione in Germania, poi di essere processato dai partigiani.

A guerra finita, per l’esproprio proletario, alla sua famiglia non resta che la casa dove abita e qualche proprietà di poco conto. Trova lavoro come cuoco e anche i figli si danno da fare, ma si avverte l’ostilità degli slavi nei confronti degli italiani, basta un nonnulla per essere accusati di sabotaggio. Accade anche a suo figlio maggiore. Tutto viene chiarito e il ragazzo scagionato ma resta la paura per quello che sarebbe potuto accadere.  In famiglia matura la decisione di optare per la cittadinanza italiana.

Lasciano Fianona nel gennaio del ’49 e una volta a Udine, vengono destinati al Campo profughi di Aversa.

La vita nel Campo è un nuovo inizio, con la consapevolezza di dover ricominciare da zero. Che i beni abbandonati verranno indennizzati è una notizia inaspettata. Pepi presenta la domanda per rientrare tra gli aventi diritto. La risposta è affermativa e gli assegnano il numero di posizione 2464.

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