Nel nuovo libro di Antonio Saitta, “Sanità, fare l’unità d’Italia”, edito da Rubbettino, un’analisi su come dovrà essere l’assistenza sanitaria dopo il coronavirus

Si possono recuperare risorse da un uso più oculato dei farmaci. Buona parte delle prescrizioni sono inutili. 

Ogni anno vanno a finire nel cestino 600 mila metri cubi di medicinali

“Sanità, fare l’unità d’Italia. La salute dopo il coronavirus”, il libro di Antonio Saitta nasce, potremmo dire, sul campo. Saitta infatti è stato Assessore alla Sanità della Regione Piemonte dal 2014 al 2019 e coordinatore degli assessori regionali alla sanità nella Conferenza delle Regioni. 
Il libro, com’è facile intuire, contiene un’interessante parte di analisi ma, soprattutto, una serie di proposte concrete e attuabili.
Saitta muove da una considerazione di fondo, ovvero la necessità che per quel che concerne la sanità, lo Stato, pur garantendo l’autonomia regionale, svolga in maniera più attiva e diretta il ruolo di coordinatore che dovrebbe avere, specie in occasione di grandi emergenze come quella che stiamo vivendo.
Per Saitta la “cura dimagrante” alla quale è stata sottoposta la sanità in questi anni, ha prodotto tanti effetti positivi a cominciare da un miglioramento dei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, che sono stati ampiamente raggiunti quasi ovunque con l’unica eccezione della Calabria.
Secondo l’Autore però l’attuale emergenza covid rischia di far perdere il terreno guadagnato e di far retrocedere ulteriormente il nostro paese. Quasi ovunque la politica sembra agire in maniera miope e localistica, invocando l’aumento dei posti letto e tornando, di fatto, a una sanità simile a quella che ha preceduto l’introduzione dei piani di rientro regionali con gli ospedali “sotto casa”.
«La comunità scientifica internazionale – osserva Saitta – è concorde sul fatto che, per garantire sicurezza, si evitino interventi chirurgici complessi da parte di strutture e chirurghi con bassa attività. È in fondo – nota l’autore – la stessa opinione che abbiamo tutti noi quando abbiamo la necessità di una cura particolare: ci spostiamo per rivolgerci alle strutture pubbliche dove si è consolidata una maggiore specializzazione perché questa garantisce maggiore sicurezza». Vale a dire: meno ospedali ma più specializzati, garantendo al contempo più medicina territoriale mediante l’istituzione reale e concreta di case della salute e più personale sanitario.
Lo Stato deve però garantire una maggiore uniformità nelle cure sul territorio nazionale recuperando risorse anche da un più oculato uso dei farmaci.

Ogni anno gettiamo nel cestino 1 miliardo e 600 mila euro di farmaci: 600.000 metri cubi.

Usiamo i generici solo per il 25% mentre a livello europeo la media è del 40%.

Inoltre continuiamo ad assumere farmaci inutili, secondo quanto sostiene il farmacologo Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri secondo cui buona parte delle prescrizioni sono inappropriate.

L’emergenza covid ci pone a un bivio di fronte al futuro della nostra sanità. 
Alla politica spetta l’onere di decidere.
Le generiche dichiarazioni sull’importanza del SSN in assenza di azioni concrete, servono a poco.

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