Marco Lupis che di Cina si occupa dal 1995, come corrispondente storico delle principali testate italiane, vivendoci per quasi vent’anni, ha appena pubblicato con Rubbettino un libro fondamentale per comprendere a fondo ciò che si agita dietro l’incredibile dinamismo, non solo economico, del grande Paese giallo. Si intitola «I cannibali di Mao. La nuova Cina alla conquista del mondo».
Il libro uscirà in libreria il prossimo 4 luglio, in occasione dell’anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina, e provvidenzialmente a pochi giorni dal vertice di Osaka.
Ecco cosa ci detto su questo importante incontro:
LUPIS: «I due uomini più potenti del Pianeta, Donald Trump e Xi Jinping (forse non elencati in ordine di importanza ormai…), stanno per incontrarsi sabato, a margine del G20 di Osaka. L’attesa dei Media internazionali è spasmodica e più ancora quella dei mercati. Cosa si diranno? Qualche previsione si può azzardare. Sul tavolo dei due campeggerà ovviamente l’economia, meglio, il commercio mondiale, un tema riassunto iconicamente dalla guerra dei Dazi, che da tempo oppone Washington a Pechino. L’incontro è di tale importanza che, secondo l’autorevole parere di Peter Boockwar, esperto in strategie presso il Bleakley Advisory Group: “Se non ci sarà distensione, aumenteranno ancora di più le probabilità di andare incontro a una recessione globale”. A mio parere è lecito aspettarsi dei progressi, seppure non risolutivi, e almeno l’inizio della distensione tra le due superpotenze. Non un fallimento totale, insomma. Nemmeno un passo avanti decisivo.
Del resto il tavolo a cui si siederanno i due è anche pieno di dossier imbarazzanti, che non aiuteranno per nulla il dialogo. Prima di tutto la vicenda Huawei, con il bando Usa ai prodotti del colosso delle telecomunicazioni cinese e lo “stallo” rappresentato dalla richiesta di estradizione presentata dai giudici americani nei confronti della CEO del Gruppo, tutt’ora in stato di arresto in Canada. Poi le minacciate ritorsioni cinesi – finora soltanto minacciate ma non messe in pratica da Pechino – ovvero la creazione di una lista nera di aziende americane e il blocco dell’esportazioni delle cosiddette “terre-rare”, elementi assolutamente necessari all’industria hi-tech nel mondo e dei quali la Cina detiene praticamente il monopolio assoluto, sia dell’estrazione che della commercializzazione.
Infine su tutto incombe il fantasma dei recenti fatti di Hong Kong, il braccio di ferro che quasi due milioni di cittadini dell’ex colonia hanno messo in atto nei confronti della “Madrepatria” cinese, per ora con momentaneo successo, contro il progetto di legge che consentirebbe di estradare verso la Cina – e verso i suoi tribunali tutt’altro che “garantisti” – i cittadini dell’ex colonia ritenuti colpevoli di reati anche futili. Un provvedimento del quale finora i dimostranti hanno ottenuto la sospensione, ma non il definitivo ritiro e che, se approvato, rappresenterebbe potenzialmente la fine del sistema “un Paese., due sistemi” sul quale si basa l’indipendenza e quindi la prosperità dell’ex colonia, come spiego ampiamente – insieme a molto altro sulla Cina di ieri e di oggi – nel mio nuovo libro in uscita in questi giorni, “I Cannibali di Mao – la nuova Cina alla conquista del Mondo” (Rubbettino). Utile a capire anche cosa sia il cosiddetto “Comunismo 2.0”, inventato dalla Cina e che la Cina cerca di esportare, con sempre crescente successo, insieme al suo straripante potere economico e finanziario, “infilandolo” tra due mazzette di fruscianti banconote, insomma.
Difficile ritenere che la cosiddetta “rivolta di Hong Kong” e più in generale il tema del (non) rispetto dei diritti umani da parte di Pechino, sollevato di recente da Trump anche in riferimento alla persecuzione che la Cina attua sistematicamente nei confronti della minoranza islamica degli Uiguri, trovi spazio nei colloqui. E infatti il portavoce del presidente cinese, nei giorni scorsi, ha già fatto sapere che Xi Jinping “non intende affrontare il tema di Hong Kong, che rimane un territorio sotto la sovranità cinese e in merito al quale Pechino non tollera “ingerenze esterne”.
Più chiaro di così.
Ancora una volta, insomma, è lecito prevedere che dall’incontro uscirà qualcosa, ma non troppo. Tanto da dare l’impressione che Pechino sembri ragionevole ma, non debole.
Insomma, la solita collaudata strategia cinese: tre passi avanti e due indietro.
E su tutto l’ombra inquietante del PCC, il Partito Comunista Cinese, solo apparentemente anacronistico e tutt’ora onnipresente e onnipotente in Cina, saldamente in mano al Presidente-a-vita Xi.
Per questo, dovremmo parlare di prossimo vertice “Xi-Trump”, se volessimo elencare i due in ordine di importanza e di potere globale».