In collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia, Rubbettino ripubblica “Sotto le stelle del ’44” in una nuova edizione con prefazione di Carlo ed Enrico Vanzina, figli del grande regista e intellettuale.

Il volume, a oltre vent’anni dalla prima edizione Sellerio, esce in un’edizione arricchita dalle immagini del diario originale


 

Sul Fascismo: «Vengo a sapere che il cappellaio di Mussolini ha venduto a degli americani di Filadelfia, per mille lire, il fez dell’ex duce. Gli americani si stanno accaparrando, come “souvenir” della campagna d’Italia, tutto il materiale plastico del caduto regime. L’antico carrettino ciociaro che tanto piaceva al turista è ora sostituito dal pugnale della Milizia o della sciarpa littoria. Sono tutte cianfrusaglie che, in fondo in fondo, agli americani un po’ piacciono. Piacciono non per le ragioni storiche per cui piacevano al ceto fascista, ma per quel gusto del clownismo e della maschera che è alla base della vita pubblica statunitense. A pensarci bene, infatti, il fascismo è stata un’americanata presa sul serio.»

Su Mario Soldati: «Verso sera, vado a casa di Soldati dove vedo anche Jucci e Noventa. Sono veramente tre personaggi da commedia. Sono entusiasti del copione che hanno appena letto. Noventa dice che la nostra rivista “segnerà un’epoca”. Chissà… A parte, Soldati si sfoga con me: non ha soldi, spende 1.000 lire al giorno e non sa come andare avanti. Sue elucubrazioni se Jucci lo ama ancora o non lo ama ancora. “No, no, mi ama ancora, però, credimi, è un amore che anche contro la volontà di lei si dissolve…”. Insomma, Soldati è sempre un personaggio da non potersi esaurire in poche righe.»

Su Ignazio Silone: «Leggo sull’«Avanti» un articolo che porta alle stelle Ignazio Silone, il nuova astro antifascista internazionale della letteratura. Anche da questa critica la mia diffidenza per Silone aumenta; già ebbi modo di parlarne e di valutarlo a Napoli con Longanesi e Soldati quando si parlò della realizzazione cinematografica di Fontamara 
Ragioni che mi fanno diffidare di Silone:
a) È abruzzese!
b) È legato al “senso della terra”.
c) Vuole riabilitare la “zolla”.
d) Fa la riabilitazione del “cafone” italiano.
e) È socialista, proletario ed ha una villa in Svizzera con i cani levrieri.
f) Retorica paesana dei suoi titoli: Fontamara, Pane e vino, Il seme sotto la neve.
g) Nell’ultimo suo romanzo dà la esatta definizione del termine di sinistra «compagno»: colui che rompe il pane insieme.»


 

La copertina del libro

Il diario di Steno alias Stefano Vanzina, ripubblicato da Rubbettino a 100 anni dalla nascita del regista, è una vera e propria miniera inesauribile.

Battute fulminanti, meditazioni, resoconti di cose viste, libri letti, incontri… tutto nello stile caustico ben noto di Steno e apprezzabile nei brani riprodotti sopra.

Steno appartiene alla grande schiera di quegli uomini e donne vissuti a cavallo della seconda guerra mondiale, uomini e donne che hanno fatto la storia della cultura italiana contemporanea.

Come ricordava Tullio Kezich (appartenuto anch’egli a questa illustre schiera) nel testo riportato in appendice al volume: «in questi personaggi c’era la piena consapevolezza di vivere tempi eccezionali e la diaristica ne fu l’inevitabile conseguenza. A parte che gli attori in commedia erano quasi tutti “primi”, come poi forse non è più accaduto».

In quegli anni così tragici e così decisivi per la storia del nostro Paese, sospesi in una libertà provvisoria sulla quale incombeva l’incubo della guerra al Nord, a Steno sembro quasi naturale annotare quanto accadeva su un libro mastro che egli compilò per pochi mesi appena senza mai farne parola con nessuno. A rinvenirlo, fra le carte del regista fu la vedova Maria Teresa Nati.

Come emerge bene dalle pagine di questo singolare journal, Steno fu un intellettuale di primo piano, capace di osservare la realtà e descriverla con ironia. Un uomo di rapide intuizioni che seppe dare fiducia e valorizzare un giovane Fellini appena sbarcato da Rimini e che pur tuttavia è stato a lungo snobbato da certa cultura e considerato un regista di secondo piano, salvo venire riabilitato in tempi recenti.

Enrico e Carlo Vanzina, nella prefazione al volume osservano: «dopo la sua scomparsa, una critica unanime ha rivalutato, anche in termini culturali, l’opera di Steno artigiano dell’umorismo. Oggi i suoi film vengono giudicati come pietre fondanti e preziose della commedia italiana. Steno, da impiegato di prima fascia della risata, è stato promosso direttore generale dell’umorismo italiano. Dove per umorismo s’intende non solo il gusto nel suscitare sorrisi, ma anche l’intelligenza e la magistrale capacità di fotografare la realtà. Mettendo in fila i suoi scritti e i suoi film, viene a galla la sua Italia, un paese fitto di problemi, contraddizioni, personaggi, caratteri, narrati da lui con la leggerezza innata del grande autore.»

Steno alias Stefano Vanzina (1917-1988): umorista, sceneggiatore, regista. Suo padre Alberto, giornalista, originario di Arona, era emigrato a Buenos Aires dove aveva fondato un giornale italiano e sposato nel ’15 Giulia Boggio prima di tornare in patria. Morto Alberto nel ’20 la vedova si trovò in ristrettezze e visse a lungo con il figlio Stefano (nato a Roma il 19 gennaio 1917) in varie pensioni. Ancora giovanissimo Steno frequentò l’Accademia di scenografia e il Centro Sperimentale di Cinematografia, entrando contemporaneamente a far parte della redazione del bisettimanale umoristico «Marc’Aurelio» dove scriveva e disegnava vignette. Nel cinema penetrò con altri redattori del giornale sceneggiando in collaborazione i film di Macario Lo vedi come sei… Lo vedi come sei?! (’39), Il pirata sono io! (’40), Non me lo dire! (’40). Entrato nell’ambiente, spesso a fianco di Mario Mattoli del quale fu anche aiuto regista, collaborò con Cesare Zavattini per il copione La scuola dei timidi (’41) e firmò altre sceneggiature. In Soltanto un bacio (’42) di Giorgio C. Simonelli, con Valentina Cortese e Otello Toso, figurò come attore. Nel dopoguerra sceneggiò moltissimi film per Camerini, Freda, Matarazzo, Borghesio e altri. Esordì nella regia in coppia con Mario Monicelli e insieme, in quattro anni fecero otto film, tra i quali quattro di Totò, incluso il classico Guardie e ladri (’51) con Fabrizi. Iniziò a lavorare da solo con Totò a colori (’52) e continuò a un ritmo instancabile. Gli si attribuiscono circa 70 titoli. Sposato nel ’48 con Maria Teresa Nati, che lavorava nel giornale del Partito d’Azione, ne ebbe due figli: Enrico 1949, produttore e sceneggiatore) e Carlo (1951, regista).

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Una pagina del diario di Steno